giovedì 22 ottobre 2009

troppo vento





Apparteneva a quella categoria di persone geneticamente incapaci di registrare i particolari. Nel lavoro esercitava un livello di attenzione e pignoleria tale che lo faceva odiare da tutti i suoi sottoposti, ma negli altri ambiti vagava distratto, completamente assorbito da insoliti pensieri. Rincasava sempre a notte inoltrata, eppure quell’insegna gli era sempre sfuggita. Chissà perché se ne rese conto proprio quella notte. Evidentemente, pur essendo all’apparenza tutte uguali, ci sono notti diverse dalle altre. Forse il vento che rumoreggiava tra i rami alti del viale alberato, forse la luna che ad ogni passo assumeva sembianze dai toni surreali. Forse e forse no. Non per lui. Quello strano individuo dal passo insolitamente leggero non dava peso agli eventi naturali. Un tempo, probabilmente, anche lui doveva essere stato concupito dai colori e dai suoni. Poi la sua mente analitica li aveva catalogati, fissati ed elaborati. Allo stesso modo di una lista dei vini o di un elenco telefonico. Non si lasciava più suggestionare, tanto meno emozionare. Una mente logica, sottile, sola… Da sempre era vissuto cercando di esorcizzare i momenti negativi concentrandosi sulle cose da fare riuscendo quasi sempre nell’intento. Quella sera il marasma interiore aveva trovato la forza per superare gli argini che con tanta determinazione lui stesso aveva alzato a impedire l’incessante flusso delle emozioni. Probabilmente quella sorta di fastidio allo stomaco, simile a un languore ma più acuto, più importuno, era stato determinante nel fargli notare il cartello. Era la vita che si reiterava. Un’indicazione pubblicitaria. Stava lì appesa al nulla da quasi un decennio, a pochi passi dalla sua abitudine. L’avesse individuata prima, avrebbe sicuramente colto l’occasione. Con un finto fare indolente si lasciò guidare verso quel locale notturno. Camminando notò un’auto parcheggiata sul marciapiede. Istintivamente gettò un’occhiata furtiva ai due che si baciavano all’interno. Il ragazzo alzò la testa incrociando quegli occhi sottili e un po’ invadenti. Un attimo. Poi il ragazzo tornò a baciare la sua bella, l’ombra a camminare in direzione di quella sorta di night club malfamato.
Francesco aveva ventun’anni, un semplice lavoro come operaio in una grande e rinomata industria alimentare e alcuni sogni nascosti sotto il cuscino, se ne riappropriava di notte quando tornava ad abbracciarlo. Il sogno più ricorrente era dedicato al calcio. Immaginava di essere un grande centravanti di un’importante squadra che, proprio grazie al suo contributo, si aggiudicava tutto il vincibile. Poi veniva chiamato in nazionale e guidava gli azzurri al titolo mondiale. Sogni. Per deglutire una vita grama e avara. Per continuare a respirare. Tutte le mattine sua madre si alzava poco prima di lui. Gli preparava la colazione con quell’aria da giovane vecchia che lo rattristava immensamente. Sua madre e quel sorriso semplice nonostante la vita. Avrebbe voluto dargli qualcosa di più, magari comprargli un cappotto nuovo e un bel paio di scarpe. Purtroppo non poteva permetterselo, non con il suo lavoro da operaio. Per questo i sogni. Lei non lo contrastava mai. Gli era persino piaciuta Lucilla nonostante i modi da bambina viziata e quell’aria snob. Sua madre era una donna speciale. Lucilla aveva gli occhi grandi come solo le bambole. Una ragazza bellissima. L’aveva conosciuta una sera nel bar dove aveva l’abituale ritrovo notturno con gli amici di sempre. Quando usciva, Francesco non sembrava un operaio. Ben vestito, il sorriso pronto, il capello giusto. Le ragazze lo notavano subito, poi si accorgevano anche di quale orologio avesse al polso, la marca del cellulare e, soprattutto, del catorcio che aveva al posto dell’automobile. Lucilla non fece caso a nulla di questo. Era un amore inevitabile… La stessa sera che si conobbero fecero l’amore. Per entrambi la prima volta. Lo fecero a casa di lei mentre i suoi genitori erano fuori. Quando lo conobbero non gli riservarono la stessa tolleranza per il proprio stato sociale accordatagli dalla figlia. Sua madre era una donna altera dallo sguardo severo. Fece subito capire che aveva notato quello che invece era sfuggito a Lucilla. Francesco viveva con la madre in un bilocale. Dormiva nel divano letto del salotto. Sua madre non usciva mai e, del resto dove sarebbe potuta andare… La storia con Lucilla, nonostante il veto dei genitori di lei, continuava. Divenne ineluttabile fare l’amore in auto. Dopo molti tentativi poco felici, trovarono il luogo adatto allo scopo in una via laterale di un quartiere periferico. Parcheggiavano sul marciapiede in una zona d’ombra e lì iniziavano la loro danza amorosa. I pochi passanti casuali non si accorgevano di nulla, oppure fingevano di farlo che, all’atto pratico, era la stessa identica cosa. Qualche volta l’ombra di un passante poteva farli sobbalzare costringendoli a sospendere le loro effusioni, ma solitamente, appena tutto tornava tranquillo, riprendevano da dove avevano interrotto. L’unico vero spavento l’ebbero la volta che un gatto saltò sul cofano dell’auto per scaldarsi le zampe…
La notte che venne al mondo, il cielo aveva organizzato un raduno di pesanti nubi scure. Per qualche momento la luna si era destreggiata tra i cumuli tempestosi poi, rinunciataria, aveva preso la decisione di defilarsi. Il vento che spingeva da est era particolarmente gelido. Ringhiava e ululava negli spifferi delle finestre di quella casa abbandonata che sua madre aveva scambiato per un reparto di ostetricia. Nacque così, al freddo e in un luogo deprimente e ostile. Altri forse avrebbero pensato ad una predestinazione, cosa che però a lui sfuggiva completamente nel significato. Di suo padre sapeva poco, per non dire nulla. Se ne era andato prima ancora che lui nascesse. Un perdigiorno che vagava per la città conquistando femmine che, dopo averle sedotte con una tecnica sinuosamente sopraffina, le abbandonava al loro destino e alla loro prole. Un giorno l’avrebbe incrociato senza sapere chi fosse, in un’insolita zuffa tra i sacchi dell’immondizia di un lercio seminterrato. Sconfitto, il più vecchio trovò riparo nella fuga. Ne avvertì di nuovo l’odore qualche giorno più tardi, ma c’era qualcosa di diverso. Quell’odore era frammisto ad un altro ben più acre. Giaceva sul bordo della strada con le viscere di fuori. Un’auto, un motore o un bastone. Chissà… Annusò per qualche istante quel corpo senza vita poi con naturale indifferenza fece ritorno alla precaria sicurezza del suo sottoscala. Sua madre era bellissima, forte e tenace. Scivolava per le vie con il suo portamento leggero ed aristocratico. Ne serbava probabilmente il ricordo. Forse. E’ sempre difficile affermarlo in questi casi. Dei suoi tre fratelli aveva da tempo perduto ogni traccia. Era solo. Solo come tutti i suoi simili, come tutti i viventi, in fondo… Quando aveva quattro anni, ormai un gatto esperto della vita di strada, si era imbattuto in un tipo d’uomo che passava il suo tempo a sorseggiare alcool ed inveire contro il vento. I suoi sensi erano tranquillizzati dal suo aspetto trasandato e da quello sguardo perso chissà poi dove. Al loro primo incontro, l’uomo divise con lui una scatoletta di tonno. Tanto bastò per farselo amico. Una amicizia dai toni fortemente surreali e forse, proprio per questo, perfettamente normale…
Dato che quel famigerato giorno di tanti anni prima c’era stato così tanto, troppo vento, aveva dedotto che la causa della sua miseranda condizione fosse proprio da attribuirsi a quell’evento atmosferico. Perciò lo odiava. Lo odiava con tutte le sue forze. Del resto, è cosa risaputa, c’è sempre bisogno di un capro espiatorio. Tutto era andato per il verso sbagliato, ogni minimo dettaglio palesava la sua sconfitta. Sopraffatto dalla vergogna e dalla disperazione aveva scritto due righe di commiato e poi si era diretto verso la stazione ferroviaria. Le parole d’addio erano rivolte a chi lo aveva amato, ma soprattutto a chi lo aveva detestato, di modo che si capisse bene per colpa di chi fosse spinto a commettere quel gesto. Si sdraiò sulle rotaie e attese l’arrivo di un treno che non arrivò mai. Aveva già perso tutti i treni possibili della vita, perdere quello della morte fu davvero crudele. Si rivolse all’ingegnere del creato apostrofandolo in tutti i modi ma non servì a gran che. Comprese più tardi, al pari di tante altre cose, che il tipo in questione, ammesso esistesse realmente, non si scomodava per cose così piccole. Il vento, la vita di un uomo. Che importanza potevano avere in confronto all’amministrazione dell’intero universo… Il vento. Era stato l’impeto del vento a far crollare un traliccio dell’alta tensione. C’era voluta un’intera giornata per ristabilire il traffico ferroviario. Purtroppo il giorno successivo aveva perduto, notte facendo, il coraggio. Perché ci vuole una buona dose di follia ma anche molto coraggio per compiere un atto così risoluto. Allora, sia come sia, chiuse la questione acquistando un biglietto in direzione “Lontano”, salì in carrozza e giunse in quella città, ventisei e passa anni fa. Da allora per ogni giorno di vento, una bottiglia e la follia di gridare al vento tutta la sua rabbia. Viveva tra i barboni, mangiava quando poteva, ma il derivato alcolico nella tasca del logoro cappotto non mancava mai. Nei giorni di vento nessuno lo poteva avvicinare, neanche le donne di strada a cui era simpatico e che quando potevano lo aiutavano. Persino quel gatto randagio che da qualche tempo era diventato suo compagno d’avventura in quei giorni istintivamente si defilava. Venne infine la sera di un giorno di vento. Tutto il tempo a parlare vaneggiando iracondo contro un basso lampione a forma di fungo. Il suo amico gatto nascosto in un sottoscala, le amiche al lavoro in un locale dove servivano piccoli sogni dal costo proporzionato. Vedeva entrare gli avventori ognuno con la propria miseria, tutti con la stessa richiesta. Un attimo per perdersi, una notte per pentirsi…
Il secondo cartello era, per quanto possibile, ancora più malridotto di quello in fondo alla via. Eppure era il principale. Costruito a mo’ di freccia, stava inclinato verso il basso ad indicare l’entrata. I neon che funzionavano, due su sette, emettevano una luce fioca e discontinua. Un filo elettrico scendeva a penzoloni sulla scala. L’aria poco accattivante del segnale avrebbe dovuto metterlo in guardia, persino la direzione avrebbe dovuto quantomeno evocare il seme del dubbio. Non quella notte. Il fastidio allo stomaco, non ancora elaborato, inconsapevolmente gli aveva abbassato il livello di autodifesa solitamente piuttosto alto e tale da renderlo refrattario a certi stimoli. Che fosse un luogo piuttosto equivoco, in zona tutti lo sapevano e lui doveva averlo intuito vedendo l’insegna con i neon traballanti. Probabilmente, guardando l’insegna con i neon traballanti, in cuor suo l’aveva sperato. Discese i sette scalini ricoperti di mozziconi che conducevano all’entrata di quel seminterrato. Un tizio dall’aria stralunata era apparentemente alle prese con un basso lampione a forma di fungo, anticamente verniciato di smalto verde brillante, ma divenuto un ammasso di ruggine. Un gatto rannicchiato in un angolo buio del sottoscala gli lanciò un sinistro avvertimento. Non seppe interpretarlo o forse non lo volle fare ed entrò. L’aria era infestata dalle esalazioni dei tabagisti impenitenti, assolutamente in barba alle recenti norme antifumo. Come contagiato, lui che non fumava mai nei luoghi chiusi, andò subito con la mano destra a saggiare il taschino dove teneva le sigarette. Al bar chiese ed ottenne un whisky. Mentre fumava e sorseggiava la sua bibita alcolica cominciò a guardarsi intorno. Poche persone, una ventina o poco più. Una sottospecie di pianista maldestro maltrattava pietosamente i tasti neroavorio nel tentativo di emettere un’aria complice che invece riusciva perfettamente malinconica. I drappi rossi alle pareti, le luci basse, il fumo, la musica, le donne scosciate, tutto lasciava pensare ad un bordello d’altri tempi. Tempi a parte, così era. Mentre realizzava la situazione venne abbordato da una tipa. Le labbra sguaiate da troppo rossetto, la camminata incerta. Era senza il minimo dubbio completamente ubriaca. Dopo una breve conversazione riuscì abilmente a svincolarsi. Non fu altrettanto abile con la seconda che, per la verità, pur essendo forse un po’ attempata, era decisamente più affascinante. In fondo poi era lì per quello. Non si era mai voluto legare affettivamente a nessuna donna, quando sentiva l’urgenza preferiva comprarne la compagnia. Trovava che quel suo comportamento fosse molto più rispettoso dei sotterfugi e delle bugie che regolano i rapporti di coppia. Mentre parlava con la donna sentì salire l’eccitazione. Aveva un paio di gambe affusolate, le calze a rete e le scarpe di vernice rossa con i tacchi a spillo. Se la immaginò nuda con solo le scarpe ai piedi. Non vedeva l’ora di sdraiarsi con lei. Discussero brevemente del prezzo e delle modalità, poi uscirono. Come li vide, la luna gonfiò il petto mostrando tutto il suo lato più romantico, ma lui, come al solito e a ragion veduta in fondo, non gli dette alcun valore. Quasi indispettita, tornò al riparo degli scuri nuvolosi di cui era circondata. La donna e il tipo che discuteva col lampione si fecero un cenno d’intesa. Lei sorridendo, lui emettendo un fischiettio. Che volesse dire con quel suono, non è dato sapere ma, forse, tanto pazzo non era. Con la donna al suo fianco camminò con il passo ancora più leggero, pregustando le acrobazie sessuali che lo attendevano. Era quasi giunto a casa quando avvertì una fitta allo stomaco e dovette fermarsi un attimo appoggiandosi ad un auto parcheggiata sul marciapiede. Il dolore passò quasi subito. Istintivamente diede la colpa al bicchiere di whisky trangugiato.
I due nell’auto sobbalzarono. Due volte in una sera era decisamente troppo. Videro la coppia rincasare e sorrisero tra loro immaginando il tipo di compagnia che l’uomo aveva rimorchiato. In ogni caso la serata si era conclusa. Anzi, dato il movimento, forse valeva la pena cambiare appostamento per la volta successiva. Tanto si sa che le notti non sono tutte uguali. Questioni atmosferiche a parte, c’è la faccenda degli stati d’animo che cambiano. Talvolta fanno vedere fantasmi dove non ci sono, altre volte spingono l’incoscienza a sottovalutare gli eventi. Quella mattina Francesco si era svegliato di malumore. Aveva dormito male, il sonno disturbato da incubi di passaggio, strane e funeste visioni. Al risveglio però non gli diede la minima importanza. Non credeva nei presentimenti così come nelle superstizioni. In effetti non credeva in un sacco di cose. Non sopportava gli oroscopi, le religioni dogmatiche, i politicanti ed altro ancora. Del resto, quel malumore si era dissipato alla voce di lei per poi scomparire completamente al primo contatto delle sue labbra. Avevano fatto l’amore. Ma quella sera c’era stato troppo traffico. Già fare l’amore in auto è scomodo, se poi ci si deve preoccupare d’essere interrotti da curiosi o peggio, non è il massimo. Prima c’era stato lo sguardo indagatore di quell’uomo, poi un gatto era saltato sul cofano, infine di nuovo il tipo, questa volta in dolce compagnia, che si era appoggiato alla vettura. Decisero di ricomporsi e di tornarsene a casa. Ma quando i giovani decidono di smettere le loro effusioni, in realtà non cessano affatto. Mentre Francesco guidava, Lucilla gli accarezzava i capelli e anche qualcosa d’altro. D’improvviso da una scalinata sbucò un gatto che gli attraversò la strada. Francesco sterzò all’improvviso e l’auto perse il controllo. Piroettò su se stessa fermandosi al centro di un incrocio. Il camionista dell’autotreno che transitava in quell’istante non fece neppure tempo a rendersi conto di quanto avveniva. Calpestò la vecchia carretta, interrompendo per sempre quelle giovani effusioni…
Quella sera si era procurato uno spuntino veramente delizioso sottratto con felina astuzia a un’ingenua vecchietta che aveva messo la carne a scongelare sul davanzale della finestra. Stava tranquillamente mangiucchiando la sua refurtiva quando avvertì i passi di quell’uomo. Passi leggeri. Fu attratto dal suo odore perché lo percepiva sbagliato. Tutto, in fondo, era sbagliato. L’odore, l’uomo, la notte. Ma queste sono cose che un gatto non può capire. Istintivamente gli lanciò miagolando un avvertimento che l’uomo lasciò cadere nel nulla. Terminò il suo pasto e saltò sul muricciolo. C’era qualcosa di strano nell’aria ma era indefinito, confuso a suoi sensi. Qualcosa lo attirava oltre la strada, verso una zona di quell’isolato per lui inesplorata. Ridiscese a balzelli i gradini mentre una coppia usciva dal locale. Il tizio che odorava di sbagliato in compagnia di una femmina puzzolente della sua specie. Odiava quel tipo di animale. Infestava l’aria impedendogli di percepire altro. Non poteva sapere che quell’odore intenso e dolciastro gli aveva temporaneamente salvato la vita. Nel sottoscala si strofinò il muso con le zampe quasi ad allontanare l’odore della donna dalle sue vibrisse. Poco a poco l’olfatto gli ritornò libero e, con l’olfatto, l’inquietudine di prima. Una gatta. Una gatta in amore lo stava chiamando a sé. Salì di corsa i gradini e attraversò la strada senza porre la minima attenzione al fatto che stava passando un auto. Il conducente scartò di lato e lui si ritrovò sul marciapiede opposto senza un graffio. I gatti hanno sette vite. Non curante dello schianto che avveniva alle sue spalle, perso nelle bramosie d’amore continuò la sua rincorsa. Un giardino. L’odore più intenso. Anche un altro odore. Attento, gatto, quante vite hai già consumato? Perso dal richiamo amoroso s’insinuò tra le inferriate del cancello ed entrò. Sul terrazzo una gatta lo stava aspettando. Femme fatale. Un secondo dopo aver avvistato la sua bella, due potenti mascelle lo afferrarono poco sopra le scapole. Risoluto nel vendere cara la pelle, si rivoltò come una furia piantando le unghie sul muso del cane che, a malincuore dovette lasciare la presa. Ora i pensieri amorosi non contavano più, l’unico istinto rimasto riguardava la fuga. Corse via, verso il suo sottoscala. La ferita però non gli consentì di allontanarsi di tanto. A fatica raggiunse l’altro lato della strada per andare a morire tra le gambe dell’unico uomo che aveva considerato amico…
Il vento calò d’improvviso. L’uomo smise di litigare con il vecchio lampione a forma di fungo e si chinò. Il rantolo dello sventurato felino richiamava un altro rantolo ben più grande e nascosto. Si rialzò allontanandosi quasi fosse indifferenza. Ma non era indifferenza, era destino. Il cavalcavia distava tre chilometri, da percorrere lentamente con uno strano sorriso disegnato sulle labbra. Vide la sua amica prostituta uscire da una casa con la faccia sconvolta di chi ha appena visto un fantasma. Ma non ci fece caso, non avrebbe fatto più caso a nulla. Le rotaie lo stavano aspettando. Tutti i pensieri di una vita lo affrontarono in quella traversata. Fra i tanti anche piccole briciole di cose buone, qualche sorriso, qualche parola non dimenticata. Mentre si avvicinava alla meta, piano piano anche la sua mente si riavvicinò a lui. Sorrise. Come quando si incontra un vecchio amico che non si vede da tanto, troppo tempo. Quella mente confusa da tanto, troppo vento… Accarezzò le rotaie prima di sdraiarvisi sopra. Niente vento. La terra cominciò a vibrare. Dapprima solo un leggero tremolio via via crescente che si concluse in un boato sordo. Poi il silenzio…
Nella falsa intimità della camera da letto, l’uomo dal passo leggero, nudo con i soli calzini ai piedi, ondeggiò sinuoso sopra la donna, nuda con ai piedi le scarpe di vernice rossa. In pochi attimi raggiunse il piacere, dopo di che cadde pesantemente su di lei… Inizialmente fu il peso sul torace, poi si accorse che qualcosa non funzionava. C’era un che di stonato in quel silenzio, in quel non ansimare tipico di un uomo dopo il fatto. Due dita sulla carotide destra e la realtà le si mostrò con tutta la sua spietata evidenza. Il panico, la rabbia e la paura gli rovistarono nello stomaco.
Prese il telefono e fece per chiamare aiuto ma poi si trattenne. Non voleva guai. Non più di quelli che la sua vita già gli presentava ogni giorno ed ogni notte. Cercò nella semioscurità i vestiti per poi indossarli rapidamente. Aprendo appena la porta scrutò la strada. Non passava nessuno. Fece un respiro profondo e se ne andò…

martedì 13 ottobre 2009

istruttore (in ortodonzia) per caso



Venerdì, sabato e domenica sono stato a Rovello Porro nell'interland milanese al corso di biopregressiva organizzato dalla SIOB. E' già il quarto fine settimana che dedico gratuitamente il mio tempo nel dare una mano ai miei grandi maestri (Dr Franco Bruno, Dr Daniele Vanni, Dr Luca Dal Bosco) vestendo i panni dell'istruttore di ortodonzia in erba. Per la verità, sono andato per istruire e sono tornato più edotto di prima. In primo luogo perchè ascoltare chi conosce la materia in maniera così approfondita riesce a farti crescere di un quid ogni volta. In secondo luogo perchè l'entusiasmo di chi è lì per imparare ti coinvolge e fa emergere dentro di te la voglia di migliorarti. Per cui mi sento di ringraziare ancora una volta i miei maestri e di ringraziare doppiamente i (più loro che) miei discepoli. Grazie.

lunedì 12 ottobre 2009

i mattoni rossi di kindu


pubblico sul mio blog questa bellissima riflessione di Daniele...


I MATTONI ROSSI DI KINDU

Sono rinato a Kindu.
Nel momento più buio della mia esistenza, quando il mondo che avevo costruito si stava disgregando ed annaspavo travolto dai marosi, l’Eterno attraverso un suo messaggero mi ha gettato un salvagente e mi ha invitato in un luogo del quale non sapevo nulla e non mi ero mai interessato.
Qui ho conosciuto la vera sofferenza, il vero dolore, ma anche il vero amore.
Ho camminato accanto ad Angeli capaci di distribuire carezze e sorrisi dove regna solo la disperazione.
Ho conosciuto una donna dal cuore troppo grande per il suo esile fisico che a stento riesce a reggerne il peso, che ogni sera è appena capace di parlare, sfinita dalla sua incontenibile generosità, ma che al mattino rinasce e sorride.
Ho conosciuto la vera amicizia, altruista e fraterna, di un uomo libero e coerente.
Ho conosciuto la vera religiosità che mi ha in poche frazioni di secondo fatto congiungere con l’Eterno.
In Africa tutto è vero, non c’è spazio per l’ipocrisia.
I colori sono sempre accesi, come gli animi degli uomini, non c’è spazio per le sfumature.
Le parole sono gridate, non c’è spazio per il sussurro.
L’essenziale regna, l’inutile non esiste.
La terra di Kindu ha dei colori magici, indescrivibili che vanno dal giallo ocra al rosso.
I sapori sono pochi ed essenziali, sempre gli stessi, decisi e mai sgradevoli.
Gli odori sono forti e reali, non ci sono deodoranti bugiardi capaci di coprirli.
Gli occhi...
…Quelli dei bambini sono i più belli che esistano.
I sorrisi sono infinitamente veri, in Africa non si sorride senza un motivo. Anche le lacrime purtroppo sono infinitamente vere, perché la cattiveria e il dolore…
…sono!
Il viaggio interiore è cominciato con la visita all’ospedale diocesano, luogo di miseria, sofferenza, ma soprattutto di speranza per i pazienti e di voglia di riscatto per i medici. Don’t forget. Non dimenticare, mi è stato detto e non dimenticherò.
Non dimenticherò mai la faccia dei bambini malati della più brutta malattia che esista, la fame, quella vera. Non dimenticherò neanche gli occhi materni e sofferenti, nascosti dietro il rassicurante sorriso di Suor Enriette, quando li prendeva in braccio.
Non dimenticherò mai il dolore scolpito nella sua faccia, nascosto dietro il sorriso materno, quando abbracciava i bambini soldato e dava a tutti una speranza. Una speranza vera!
Non dimenticherò mai la giornata di domenica, cominciata con la messa più vera alla quale abbia assisto in vita mia e continuata in totale condivisione con la popolazione dei villaggi dell’entroterra. Un bagno di folla e di amore. Amore vero!
Non dimenticherò mai il pianto fra le braccia del mio amico, che pensando che piangessi per sconforto mi diceva “coraggio ce la farai”. Io piangevo per commozione perché grazie a lui avevo capito. Non avevo mai pianto fra le braccia di qualcuno, neanche tra quelle di mio padre.
Anche i mattoni di Kindu sono veri, come devono essere i mattoni. Rossi, con tutte le sfumature dell’argilla semplicemente mischiata con l’acqua e cotta.
Dal mio viaggio me ne sono portato uno. L’ho posto nelle fondamenta del mio Tempio interiore. Pensavo di essere già avanti nel compimento dell’Opera. Non avevo scavato neanche le fondamenta!
Daniele Vanni
Bressanone 11 agosto 2009

giovedì 8 ottobre 2009

mercoledì 7 ottobre 2009

camy al vento

120x70 smalto su tela

martedì 6 ottobre 2009

redentro



So che siete pigri e che alle cinque e trenta del mattino non vi passerebbe mai per l’anticamera del cervello di lasciare il vostro letto per incontrare il vento. Ma se lo faceste, potreste imbattervi per caso in un volto. Appartiene a un uomo che in quei luoghi va in silenzio, vi s’accovaccia, stende le braccia e si fa percuotere la pelle dallo stesso vento che voi, dormiglioni, non potrete mai sfiorare. Il suo nome è Red.
A proposito, come sta la bolla d’aria? Tutti muri a piombo, immagino…
Io e Red ci conosciamo da una vita. Prima ancora di quel giorno in cui mi ha strappato dalla strada pagando il mio riscatto. Già... Poi mi ha offerto un posto dove stare. Una famiglia. Le sue mani... Fino a quando non conoscerete le sue mani sarà molto difficile per voi addentrarvi nel suo universo. Mani di sabbia ruvida. Mani di frasi spezzate. Mani che la rugiada riconosce e aspetta per rendergli meno amaro il respirare.
A Red devo tutto. È più di vent’anni che stiamo insieme e non c'è stato un solo giorno senza musica. Si, perché io e Red scriviamo canzoni. A noi due piacciono molto, al resto del mondo temo di no, almeno a giudicare dalla richiesta dei bis… Ciononostante continuiamo a scriverle.
Perché lo chiamano Red? Ci crediate o meno, non lo so e non gliel’ho mai chiesto. Io e lui parliamo poco, praticamente nulla. Quando l'ho conosciuto aveva già quel soprannome. Credo che derivi dalla sua passione per il colore rosso. Io stessa sono una rossa tutta curve… Sì, Red ama tutto ciò che è rosso. Tutto tranne il fuoco… Il fuoco lo ha reso quello che è, forgiandogli l’anima. Ma, soprattutto, grazie al fuoco, Red è un uomo solo. Non l’ha scelta lui la solitudine, anche se in realtà, indirettamente, forse lo ha fatto. La vita a volte ti porta a commettere determinate azioni senza darti il tempo per rifletterci sopra, non quanto si dovrebbe. Magari, poi, la scelta resta inalterata, è la consapevolezza che cambia.
Red vive dietro l'angolo, in disparte, non vuole che la gente s’accorga di lui. In questo modo nessuno può sapere cosa si perde, quale universo oceano la sua mente sappia cullare. Quanti voli ci siamo fatti noi due! Purtroppo stiamo invecchiando. Lui ha quarantaquattro anni. Detti così, sembrano noccioline ma, ammonticchiati sulla schiena uno sopra l'altro pesano.
Red vive di pensieri nuvola nascosti dietro i suoi occhi neri. Occhi distratti e sciolti. Occhi che sfuggono l’incontro. Occhi tristi e dolci.
Viola mi ha confidato che... Ok, d'accordo lo diceva a zia Lisetta... D'altronde io ero lì, dietro l'armadio, non ho potuto evitare di ascoltare...
Cosa stavo dicendo? Sì, ecco... Quando Viola lo ha conosciuto è rimasta fulminata da quel suo sguardo, nonostante l'aspetto ben poco attraente del suo viso.
Come? Troppe cose in sospeso? Ok, facciamo un po' di ordine.
Zia Lisetta è la padrona di casa. Un’amabile signorina di cui si deve tacere l'età. Detto tra noi sono ottantasette. Detto tra noi non è neanche signorina, ma questa è un'altra storia. Detto tra noi è una persona speciale.
Viola è la figlia di Saverio il sarto. Ha trentadue anni ed è tornata solo quattro mesi fa da Calcutta. E’ tornata perché ha capito che non le era possibile cancellare tutto il vento che le girava vorticosamente dentro il cuore. Non fuggendo. Non vessandosi nel corpo e nella mente.
Poi, due settimane fa, è entrata in libreria ed ha incontrato Red.
Red sa benissimo l'effetto che fa il suo volto deturpato sulla gente. Dopo un po' ci si abitua a tutto… Anche a suscitare ribrezzo, pena, curiosità. Eppure Viola è rimasta affascinata dai suoi occhi così neri e intensi. Per un attimo ha pensato di vacillare. Ha vacillato…
Posso esserti utile?
Io, sì... Cercavo qualcosa di Shakespeare…
Posso suggerirti i ”Sonetti d’amore”?
No, no... Voglio dire, scusa, ma intendevo leggere l’Enrico IV…
Bene, guarda è proprio lì, sopra quello scaffale.
Tornata a casa Viola non ha potuto soffocare quel suo turbamento. Troppe domande, troppi suoni instabili. Un piccolo universo che si agitava dentro. Finalmente il dubbio. Una conquista assoluta…
Anche l’altro protagonista dell’incontro è rimasto visibilmente scombussolato. Appena rientrato mi ha preso tra le mani e si è confidato.
E’ possibile? E’ solo il frutto della mia fantasia o quello che sento, la vibrazione, lo scambio di sguardo, è, era…
Che risposte potevo dargli mai?
Ci siamo messi a suonare. Corde sulle mani tese. Corde che vibrano al limite dell’onda sollevata dai battiti improvvisi. Corde fragili e mani dure.
In pochi minuti abbiamo composto una canzone. Ritengo fosse dedicata all'amore impossibile, quello che sa di ciottoli di fiume e rami spogli. Poi Red si è gettato sul divano piangendo. Ci sono abituata. È un pianto silenzioso. Lacrime e cuore gonfio.
È difficile per lui.
No, non è stato sempre così, da giovane era un ragazzo bellissimo. Quando l'ho conosciuto, aveva si e no quattordici anni. Io a quel tempo ero la compagna di Luciano, un'artista di strada. Lucio era un essere piccolo e spregevole ma anche capace di sorprendenti moti di generosità. E' lui che ha insegnato a Red la musica. E’ lui il testimone delle mani sulle corde.
Tra me e Red è stato amore a prima vista. Ci siamo amati alla follia. Ma dovete capire, dovete mettervelo bene in testa, che gli uomini non sono tutti uguali. L’apparenza inganna e tradisce. L’uomo che vive dell’armonia tra le parole e la musica, non scivola tra le pieghe come fosse acqua. E’ questo che lo rende un essere speciale. Per questo amo Red. Sì, lo amo, nonostante il suo aspetto e il suo dolore.
Aveva diciannove anni quando accadde quell'episodio che gli avrebbe marchiato a fuoco l'esistenza.
La città sullo sfondo aveva un altro nome, di quelli che si dimenticano rapidamente come i volti dei passanti incrociati in tutta fretta per le strade di una metropoli. Sono le storie che rimangono, quelle che danzano sul filo delle emozioni. Red aveva diciannove anni e uno stuolo di ragazzine che gli girava intorno come api sul miele.
Quel giorno luglio gravava con la sua afa sulle strade. Ma non vi racconterò altro di quel giorno. E' troppo il dolore, eccessiva l'emotività, scemato il vento.
Che significa se sono una chitarra? Che credete, ho molta più anima io che tanti esseri umani. Sì, ho molta anima, quella di Red...
Sia come sia, qualche mese dopo il suo terribile incidente venne a riscattarmi. Andammo a vivere da una sua zia paterna, che abitava poco distante. Sentiva il bisogno di cambiare città. Le frasi di circostanza di amici e conoscenti erano difficili da sopportare come le lacrime di sua madre e delle sue sorelle. Faccenda strana, poi, quella delle api. Chissà dove si erano rintanate tutte quante… La zia Lisetta capì la faccenda al volo e gli offrì una via di fuga.
Vieni qua da me. C'è un posto in libreria che fa proprio al caso tuo.
Così Red iniziò a lavorare nella libreria della zia. Non so dirvi come, ma trovò la forza per continuare. Un giorno alla volta, un respiro per volta. Ha studiato e si è laureato. Il suo sogno era quello di insegnare. Si è accontentato di vendere libri… Del resto, è faccenda conosciuta, il destino chiede conti salati ai puri di cuore.
Sentite? Passi sulle scale. E’ lui che sta tornando. Vi devo lasciare. Sapete, quando torna a casa è sempre giù di corda. E io sono il suo antidepressivo.
A presto!
Le parole si nascondono tra le corde che vibrano e i pensieri si calmano, si annullano. Giunge finalmente l’attimo in cui tutto si nasconde in una sorta di oblio dove la realtà non appare così tanto amara. Grazie alle corde, che chiamano la musica. Cadere è insito nel volo. Bisogna avere il coraggio e la forza di rialzarsi, di rimettersi le ali per riprovarci ancora. Certo, non è facile, non è fingere. E’ respirare.
Salve! Siete ancora lì? Bene, pochi ma buoni… Red dorme, ora posso continuare. Non credo avrebbe piacere di sapere che parlo di lui… Basterà non dirgli nulla, conto su di voi…
Sono stati giorni strani, questi ultimi. Come vi dicevo, sette giorni fa Viola è venuta a far visita alla zia Lisetta. La zia è molto amica di suo padre. Pare che sia stata ancora più amica del nonno se capite cosa voglio dire… Oh, che credete, il mondo è questo! Passi per l’indolenza mattutina, ma evitiamo i falsi moralismi e il bigottismo acefalo. Ve lo chiedo per favore. A proposito, tutto bene nella galleria del vento?
Come? Viola? Ah, sì, dunque… Ha suonato il campanello e Lisetta l’ha fatta salire.
Vieni piccola cara, entra, fatti vedere! Ma sei proprio carina vestita così! Mi ricordi l’attrice del film “Colazione da Tiffany”. Come si chiamava già? Ah, sì, Haudrey Hepburn. Dimmi, ce l'hai un gatto tu?
Un gatto? No, io non…
Hei, ma te lo devi procurare! È necessario, capisci?
No veramente no… A cosa mi servirebbe un gatto?
Che discorsi bella mia… Tu fallo e basta, non si deve mica capire tutto nella vita. In fondo, non è più semplice così?
Ok, questa è la zia Lisetta. ma fate attenzione, non è matta e neppure svampita come sembra di primo acchito. La realtà è che lei ha capito la vita e sa come affrontarla. Tutto qua. Già, e vi pare poco?
Ma non stare lì impalata, non siamo al museo delle cere. Entra, accomodati. Gradisci una tazza di the al ribes?
Dimenticavo, la zia va matta per gli esperimenti di erboristeria. Per quel che ne so io, i suoi intrugli sono anche gustosi.
Al ribes? Proviamo…
Ecco, così si fa, non come quel musone che storce il naso ogni qualvolta gli propongo di assaggiare una delle mie leccornie.
Il musone sarebbe Red?
Oh, no, anzi! Lui si diverte a prendermi in giro per i miei tentativi di bevande fatte in casa, poi però le gradisce eccome. No, no! Il musone è Temistocle che, in teoria sarebbe il mio assaggiatore ufficiale, in pratica se ne guarda bene dal farlo.
Temistocle?
Come, non vi ho ancora presentati? Ora te lo faccio conoscere immediatamente. Temì, Temììì, vieni ciccino da mammina tua!
Temistocle è l’altro abitante della casa. Trattasi di un grosso gatto soriano dal pelo rosso che passa le sue giornate a dormire e stiracchiarsi. Unica attività fisica che sua maestà si concede è il cambio ciclico del cuscino. Un fresco giaciglio è quello che serve, specialmente nei mesi caldi. Non c’è divano, poltrona o sediola che non riconosca il suo folto pelame.
Temì, ti presento Viola. Sei pregato di comportarti educatamente, non come il tuo solito. Sai, Viola, il mio Temistocle è del genere gattopigrosnob.
Capisco…
Ovvio, quel capisco di chi non ha capito niente. A sua discolpa c’è da dire che zia Lisetta confonderebbe le idee anche a chi le ha belle chiare, figuriamoci per chi, in qualche modo, si trova in un momento di confusione personale. Perché Viola, a dispetto di quello che potete aver pensato, è una donna molto intelligente, forse la più intelligente che la vita mi ha concesso d’incontrare.
E qui mi sovviene naturale chiedervi a che punto siete con la tinteggiatura delle prese d’aria.
Ma torniamo alla zia Lisetta che, furbetta e maliziosa si rivolse a Viola con una domanda.
Immagino che tu non sia venuta a trovare questa vecchia pazza per parlare di tisane o di felini, giusto?
Sì, in effetti…
Allora, a cosa debbo l’onore?
Ecco, come le ho già anticipato per telefono, io… Non vorrei che… Sì, davvero, mi dispiacerebbe molto essere fraintesa.
Coraggio, cara. Anche se non ho ben capito dove vuoi andare a parare col tuo giro di parole, qui nessuno ha la ben che minima intenzione di equivocare.
Insomma, non vorrei che lei pensasse che la mia è solo curiosità. Certo, in parte lo è, ma io…
Vuoi conoscere la storia di Red, giusto?
Sì…
E così la zia iniziò la sua condita narrazione. Alla fine la ragazza parve fin troppo turbata.
Nonostante cercasse di dissimulare, non poteva certo farla alla vecchia zia.
Qualcosa non va, cara?
No, no, tutto a posto. Ora devo proprio andare.
Bene, torna pure a trovarmi se ti fa piacere, sai noi vecchiette rimbambite adoriamo la compagnia di voi giovani, è come tornare a respirare l’aria del mare dopo tanta lontananza. Tu mi capisci, no?
Sì, la capisco. Tornerò senz’altro. Sa? Tutte le cose che dice mio padre su di lei, comincio a pensare che siano vere.
Oh, non credere agli uomini, sono tutti degli spudorati mentitori. Comunque salutamelo, lui lo sa quanto bene gli voglio.
Non mancherò. A presto.
Sì, a presto.
Poi il silenzio si riprese la sua fetta di colore.
Sai, Temì? Credo che oggi diverrà un giorno da ricordare. E non guardarmi male stupido felino. Sarò pure una cariatide avvizzita ma certe cose io le avverto e posso affermare tranquillamente senza timore d’essere smentita che sta cambiando il vento. Non ci credi? Va sul terrazzino ad annusare l’aria se non ti fidi.
Temistocle, quasi avesse afferrato il senso esatto di quel soliloquio, sporse il suo largo muso a mezza luna dalla porta finestra. Non parve gran che convinto. Si strisciò i baffi con la zampa per fare poi ritorno sul puff a spicchi ricamato rosso e oro.

venerdì 2 ottobre 2009

acqua negli occhi, sangue sulle mani

lo sguardo
si nasconde
arreso
in troppi voli
dall'idea sublime
ancora
le voci
d'estate
rossa e oro
sull'argilla dolce
le mani
in un sorriso
sottile
forse un taglio
nell'attimo del nulla

giovedì 1 ottobre 2009

sorrisovento




D’improvviso,
il tuo scroscio
steso a terra,
mi racconta.
Lasciati
tutto è fuori
e dentro di te.
Lasciati
e il vento
conosci.