domenica 27 settembre 2009

Ciao Coglione!



La tizia del piano di sopra urla come un’aquila a quel teppista di suo figlio. Capite bene che non è una novità, quella non fa altro che urlare, dire che non sarebbe neanche brutta, ma, Cristo, che razza di rompicoglioni! Il figlio è un idiota esemplare, di quelli che persino ai nostri giorni è arduo incontrare. Idiota, maleducato e teppista.
No, la vera notizia si evince dalla classifica provvisoria del campionato di calcio: c’è l’Inter in testa. Lo ammetto, non sembra neanche verosimile. Ma, tranquilli, mancano ancora quattro giornate alla fine del campionato.
Comunque sia, non vi ho certamente disturbato per dirvi queste cosucce. Se potete, pazientate un attimino, che devo sbrigare una faccenduola. Tra parentesi, odio quelli che usano questa espressione: “attimino”. Che si può dire “funeralino”, “tradimentino”, “eschimesino”? E allora? Vi sono tanti stadi di catarsi mentale.
Sarò da voi tra poco. Nel frattempo sedetevi, il divano è nuovo, l’ho scartato la scorsa settimana. Bisogna pur spenderli i soldi che si guadagnano, altrimenti che si lavora a fare? Gradite un caffè? Sono spiacente, ma tengo in casa solo quello all’americana, sapete, ho una gastrite appiccicosa. Potete accendere il televisore, magari ascoltarvi un CD. Ehi, cosa fa? No, no, quelli preferirei non li toccasse, li ho posti per l’appunto più in alto perché non voglio farli neppure sfiorare da mani sconosciute, capisce, sono dei Beatles, mica scherzi. Perché noi, in fin dei conti, non ci conosciamo. Affatto. Voi, tra un po’, avendone la voglia e la giusta pazienza, potrete scoprire qualcosa sul sottoscritto, ma io, di voi, gioco forza non potrò mai scoprire nulla. Sono un uomo di carta, in fondo, mica altro. A ben pensarci sono innumerevoli le sorgenti della nostra ignoranza.
Ecco fatto, sono qua. Dovrei narrarvi di quel periodo schifoso che ha modificato, in peggio, l’andamento della mia esistenza, tizia di sopra a parte, lei ha un codice costante. Farò precedere il racconto degli avvenimenti passati da questo episodio capitatomi la scorsa settimana, non fosse altro che mi tormenta non poco. Poi andrò senza meno al dunque. Suppongo conosciate bene il locale sulla via Emilia “Gun’s Flower”? No? Avanti, è circa duecento metri dopo il ponte, di fronte a quel negozio d’articoli regalo per sporcaccioni. Va là, va là, che lo sapete dov’è! Intanto devo dire che non si capisce da dove prenda origine un nome così stupefacentemente incongruo. Mi pare che una volta vi fosse un complesso Rock, o Beat, o Pop, o chennesò, che aveva un nome simile. Forse.
Venerdì ero lì con Claudio, come il solito. Ci andiamo per fare due chiacchiere e giocare a stecca, magari berci pure una birretta. A farla breve, che io, lo so, la tiro sempre lunga, faccio, mio malgrado, la conoscenza di Michele. E’ un camionista. Lo stomaco prominente ed una più che probabile invaginazione cerebrale. Capirete poi, forse, ammesso ch’io sia in grado di ben spiegarmi, perché vi cito questa situazione. Attraversa la mia mente troppo spesso perché sia libero d’ignorarla. L’unica possibilità per sbarazzarsene, è parlarne. La si esorcizza, o la si anestetizza, occludendogli ogni spazio per una più severa infiltrazione. Allora, vi stavo dicendo di Michele, quello con il cervello di una gallina depressa e l’alito da Guinnes. Pare, secondo alcune indiscrezioni, che sia lui a fornire la componente odorosa miscelata al gas metano impiegato nell’uso domestico. Per avvertire le fughe. Possibile che, oltre ad avere un’emanazione odorosa più che riguardabile da parte della propria cavità orale, questi soggetti si ostinino anche a volerti parlare il più vicino possibile, a non meno di due centimetri dalle tue narici, cosicché l’olezzo le pervade efficacemente? L’avevo già adocchiato altre volte, evitando di fare la sua conoscenza. Non è mai troppo presto. Quella sera indossava una camicia a fioroni, con due ampie chiazze subascellari, probabilmente per annaffiarli. Ubriaco. L’alcool, quando vince e troppo spesso riesce, piega i neuroni nelle più svariate forme di sottomissione: collera, depressione, irrazionalità. Michele era nella fase saputello–logorroica.
- Disturbo ragazzi?
- Figurati . . .
Risposta stracolma del solito imbarazzo di quando ci si trova a confrontarsi con qualche personaggio indesiderato di cui si teme l’irrazionalità del comportamento. In qualche modo assomiglia ad un mio amico che non vedo da tempo. Roberto, quello che due anni fa è uscito di casa la mattina alle otto baciando la moglie ed i figli, poi se ne è andato a Roma, è salito su un aereo ed ora vive a Città del Capo. Da bambini eravamo vicini di casa. E’ sempre stato un tipo strano, un grandissimo maiale in fatto di donne, ma anche un tipo gioviale e decisamente simpatico. Michele, in verità, è solamente un maiale.
- Questa sera, ragazzi, sono giunto ad un’importante conclusione: le donne sono tutte puttane. Fingono di provare piacere e noi, cretini orgogliosi, gonfiamo il petto come stupidi piccioni. Io, che le prostitute, modestamente, le conosco piuttosto bene, almeno quanto loro conoscono le mie tasche, lo posso ben dire.
Poi ci parlò di sua moglie, della suocera con la quale aveva combinato non so quale porcata, di una tipa che aveva palpato. Tutte troie, tutte anorgasmiche.
Se permettete, dato il tipo, non ci sarebbe neanche da stupirsene. Dopo un’interminabile ora di soliloquio, è crollato sulla seggiola, la testa sul tavolino a guisa d’anguria. In cinque minuti si è acceso un roboante motore sprigionato dal suo respiro dormiente. Continuare a giocare era impossibile. Siamo tornati a casa, la mente inseguita da quelle frasi vomitate sul piacere simulato.
La tizia di sopra ha iniziato un diavolerio appena il marito è rientrato. Si lamenta, sbraita, minaccia.
Povero cristo!
Sfido che lavori fino a tardi. Ci siamo conosciuti da ragazzi, era una brava pellaccia, allegro, ciarliero. Guardatelo ora: come infila le chiavi nella serratura di casa, assume l’aspetto, il viso intristito, le spalle piegate, come quello che immagino sia la visione di un condannato all’ergastolo.
Scusatemi, è che io tendo a divagare. Adesso sarebbe il momento di narrarvi dell’americano. Trattandosi, direttamente o indirettamente, anche di me, è una storia complicata, perciò, vedete di non perdervi. Lavoro, oramai da vent’anni, in una ditta che esporta tubazioni, soprattutto nell’Asia centrale ed in medio oriente. Sarei ingegnere meccanico ma, alla fine della fiera, mi occupo più che altro d’organizzazione tecnica e di relazioni con i compratori. Quattro anni fa Rosi, Umberto, il grande capo, mi manda a chiamare.
- Senti Samuele, tra un paio di settimane verrà qua da noi un esperto di management. E’ un fottuto americano. Si dovrebbe chiamare… Ma dove cavolo ho ficcato quel fax? ‘zo, tutte le volte che cerco una stramaledetta cosa non la trovo e poi, tutte le altre volte che non mi serve a niente, spunta fuori per rompermi le sfere. Ah, eccolo qua. Dunque, si chiama Paul Denver, di Dallas. Sai, no? Quella città dove era ambientato quel telefilm famoso? Bravo! Proprio lì. Darà un’occhiata alla nostra azienda. Dovrebbe fornirci delle indicazioni su come migliorarne la conduzione. Te ne occuperai tu. Key point! Non portarlo qui dentro neanche per sbaglio, non lo voglio conoscere, non voglio sentire il suo odore, assolutamente no. Tu lo sai bene, sono comunista io. Gli americani mi stanno tutti sulle balle.
Già! Il comunista… L’essere meno proletario e più miliardario ch’io conosca, ma sempre comunista. Rosi è così, pensa soltanto ai soldi e a scopare, ma non vuole rinunciare al suo essersi fatto da solo, ironia della sorte, proprio come farebbe un vero americano. Quando vengono i clienti arabi, quando c’è da organizzare un certo tipo di situazione, state sicuri, Rosi è in prima fila. Tre mesi fa è venuto il sultano, quello che possiede sette mogli, la più giovane ha diciassette anni, mentre lui è un tipo piuttosto vetusto. Orbene, Rosi si è volatilizzato per quasi dieci giorni. Con il sultano. E’ facile. Convoca qualche hostess. Prenota la solita suite. Poi fanno tutte le porcate che vogliono, con tanto di ricevuta da scaricare sotto la voce: relazioni con la clientela. Più volte gli ho fatto notare che consideravo questa manovra una frode bella e buona ai danni dello stato. Lui, di rimando, si scusava dicendo:
- Se fosse un governo dei “nostri” non lo farei, ma con questi loschi figuri, è più che legittimo.
Poi il governo di sinistra è arrivato, ma Rosi non deve essersene accorto. In ogni caso, quando c’è da seguire una fase progettuale o, come quella volta, far da spalla ad un tecnico, americano non americano, comunista non comunista, lui svicola.
Così mi dovetti sciroppare l’americano.
Quando lo vidi al check point, a malpensa, aveva proprio l’aspetto dello statunitense rampante: dentoni alla Kennedy, occhi azzurri, capelli corti e biondi, alto e muscoloso. Tutto il mio contrario. Io, tuttalpiù, avrò l’aspetto dell’italiano medio: scuro, basso e flaccidino. Va detto, per onor del vero, che in prima fase mi fu piuttosto simpatico. Credo che la situazione, intendo quella personale con mia moglie, fosse fuori controllo già da prima, ma ritengo anche che la settimana successiva iniziò il disastro. Paul era un tipo molto gradevole pertanto pensai di invitarlo a cena presso un ristorante piuttosto in voga, dove avrebbe potuto apprezzare la cucina italiana. Vi condussi anche Federica, mia moglie. I bambini rimasero con la tata. Nel bel mezzo della serata ricevetti una telefonata. Era Claudio. Piangeva. Dovetti abbandonare la compagnia. Lasciai le chiavi dell’auto a Federica con l’onere, seppi poi quanto poco gravoso, di restare appresso al nostro ospite e presi un taxi.
L’inizio della fine, anche se la fine era già stata scritta da tempo. Rincasai tardi, sul fare del giorno. Mi spogliai e, senza indossare il pigiama mi coricai. Disteso nel letto guardavo il soffitto che andava illuminandosi con l'alba. Doveva mancare poco alle sei poiché la caldaia non era ancora partita e quegli stupidi merli cantavano con tutte le note possibili le loro stupide storie.
Gianna era morta.
Un incidente.
Aveva la macchina piena zeppa di sporte colme di spesa.
Era appena uscita dalla parrucchiera, le unghie laccate, un completo di pizzo che le stava divinamente, ma era morta ugualmente.
Gianna era la bellissima moglie di Claudio che ora rimaneva da solo, solo ma con due figli. Claudio è da sempre il mio migliore amico, abbiamo fatto i bambini insieme. Le nostre mogli erano divenute amiche, fin troppo. Andavano congiuntamente in palestra, a lezione d’aerobica e a tutta una serie d’iniziative non sempre lodevoli. Lasciamo stare che per scuola io intenda ben altro.
Ho scoperto, poco prima di quel fatale incidente, che erano entrambe molto attratte dal maestro di aerobica. Pare che Gianna sia stata più volte, come dire, contraccambiata.
Non mi è mai parsa una cosa carina da rivelare al mio amico…
Come il solito mi sono perso. Vi stavo dicendo dell’americano…
Nella mia città c’è un soggetto un po’ folle che viene chiamato proprio così. Veste alla gringo. Si è comperato una chevrolet bianca con le finiture oro, stile “Elvis”. Il suo aspetto è decisamente buffo, per non dire patetico. Porta sul testone pelato un cappello bianco borchiato, ai piedi un paio di stivali degni di Jhon Waine ed al collo uno stupido cravattino texano. E’ soltanto una macchietta. L’americano vero, purtroppo, è quello che è stato appresso a me quei giorni di maltempo, come serpe in seno.
La tizia di sopra si sta facendo sbattere sul letto matrimoniale come tutti i sabato pomeriggio dopo le sei, abitudinaria e puntuale come un orologio svizzero. Urla come uno cui stanno strappando le tonsille. Come si estraevano una volta.
Senza anestesia e molto ghiaccio.
Diciamocelo, è l’unico suo momento urlante che non mi reca danno. Se non fosse per il solito tarlo. Finge? Simula? Non sono affari miei, tizia di sopra, ma se fingi, in questo caso, fallo più piano!
Ho fatto del te freddo, volete favorire? Forse non è stagione, quando mai lo è stata? ‘Stamattina c’erano solo quattro gradi, io lo gradisco ugualmente. Non fate complimenti. E’ qui sul tavolino coi bicchieri a fianco. Poi fate voi.
Continuiamo. C’è rimasto ben poco da dire in fondo. Un bel, ironico, giorno, torno, da dove, a casa, quale casa e mio figlio, mio figlio?, all’epoca aveva solo nove anni, mi dice:
- La mamma ha fatto fagotto!
- La mamma che?
Com’è possibile che un ragazzino si esprima così irriguardosamente nei confronti della vita e di un istante così drammatico è, ovviamente, insindacabilmente, lapalissianamente, inconcepibile. Ad ogni buon conto, rendeva piuttosto bene l’idea. Già, se ne era andata, con l’americano. A Dallas. In Texas. Goodbye.
Ed io? Feci la solita parte indicata per queste occasioni: finsi di cadere dalle nuvole, un fulmine a ciel sereno. Ma tutti, me compreso, lo sapevano, chi non ne era certo, l’aveva comunque intuito.
Che le cose tra noi non andassero più un gran che, era evidente. Quante volte avevo avvertito il fastidio che provava nei miei approcci amorosi. Probabilmente quando lo facevamo fingeva. No, attenzione un attimo, ne sono certo. Ricordo fin troppo bene come era fare l’amore all’inizio tra noi. Lo ricordo con intensa emozione e follia, quella follia che non esisteva, oramai, più da tempo. Sapete com’è, tentiamo, per comodo, pigrizia o assuefazione, di non vedere quello che salta invece agli occhi.
La sostanza unica è che lei se ne è andata lasciandosi alle spalle solo una misera letterina, scritta come la compongono i bambini deficienti, con mille errori d’ortografia e calci in culo alla sintassi. Poi, per tre anni, il nulla completo, il vuoto più cupo.
Quando ci ripenso, quello che mi lascia stupefatto è l’indifferenza elaborata dai miei figli in quell’occasione. Hanno chiesto di mamma solo poche volte accontentandosi delle mie spiegazioni disorientanti. Ho fatto quello che potevo, capirete, c’è n’è da fare per due mocciosi. Per la verità, li amo così tanto che non mi è costata troppa fatica.
La tizia di sopra ora bussa alla tizia di sopra–di sopra. Suppongo per il solito motivo: il volume del televisore. Che volete? E’ sorda come una campana. Vecchia, sola e sorda. Ah, già, dimenticavo, anche zitella. Non ci si accorge mai del disturbo arrecato al prossimo mentre siamo ipersensibili per quello subìto.
Come in auto. Se fai una scorrettezza te la ridi dicendoti: “Quanto sono furbo”. Se un altro fa altrettanto ti attacchi al clacson ergendoti a giudice dell’umanità.
Io non tocco mai il clacson.
Era sempre motivo di diverbio con mia moglie…
Per tre anni non s’è vista né sentita. Per quel che ne sapevo poteva benissimo essere defunta. Non che l’abbia mai pensato. Mia madre le ha vomitato dietro ogni forma di cattiveria possibile. Io no. Ero come in trance. Immaginavo i colleghi al lavoro, il fornaio, la fruttivendola, la gente del quartiere che se la rideva.
Eppure, non covavo né rabbia né frustrazione.
Vi dicevo di Claudio.
Io e lui, in poche settimane, ci ritrovammo entrambi senza moglie e con due pargoli a cranio da crescere ed accudire. Abbiamo unito le forze. Da ragazzo, Claudio, era un tipo timido ed introverso. Con le donne era un’autentica frana, possedeva però un’attrattiva irresistibile. Qui ora mi gioco definitivamente il pubblico femminile. Lo so, lo so, è un luogo comune ma, è forse colpa mia se è anche un’incontrovertibile verità? Chiamiamolo assioma, va meglio? Claudio era incredibilmente, indicibilmente, spudoratamente facoltoso. Ben inteso, lo è ancora.
Fu accalappiato da quella che divenne poi sua moglie durante la festa di compleanno di una sua lontana cugina. Poco cugina e molto troia. L’Erminia, quella che tutti noi più volte…
Ma questa è una faccenda che non credo interessi gran che.
Gianna se lo portò in bagno e gli fece un servizietto, seppi poi, con i fiocchi e i controfiocchi. E brava la Giannina! Ne rimase tanto estasiato che il giorno dopo le chiese di sposarlo.
Pessima mossa!
Le corna infierite non credo possiedano una numerazione sufficiente per le dita delle mani e dei piedi. Lui, sia come sia, era un uomo felice. Ignorava, o fingeva di farlo. In fondo è la stessa cosa.
Una sera, rincasando silenziosamente per fare una sorpresa ai bambini, ascoltai questa conversazione tra le due donne fedifraghe:
- C’è l’ha così piccolo, ma piccolo… E poi è imbranato. Dopo sei anni di matrimonio non ha ancora imparato come fare ad usarlo!
- In questi casi è importante avere le giuste conoscenze cui attingere nei momenti di bisogno…
- Per quello non ti devi preoccupare…
Già. Poi senti dire dai tuttologi televisivi che le dimensioni non contano e blà–blà, e cì–cì, e cò-cò. Tutti stronzi. Stanno lì soltanto per narcotizzarci e noi beati ad ascoltarli. Ma Claudio sapeva di non essere gran che, pertanto ringraziava la sorte d’esser nato ricco, avendo così potuto accalappiare quella splendida maiala di sua moglie. Deliziava molti uomini, questo è vero, ma lui era uno di quelli. Perché no?
Quante sono le possibilità di lettura delle vicende della vita?
Tornando a me, cosa rimane da dire?
Ho quarantasette anni.
Quando sposai mia moglie ne avevo trentatré, come quelli di Cristo, o come i trentini che entrarono trotterellando a Trento, a quanto si dice. Dopo dieci anni di matrimonio, quella se ne va con l’americano e per tre anni non si dà la minima pena di far sapere se è viva o altro.
Poi, due mesi fa, una domenica pomeriggio, squilla il campanello.
Se posso, la domenica la trascorro in casa. Guardo la TV, ascolto musica leggendo un libro. Adoro gli autori anglosassoni contemporanei, possibilmente dalla scrittura veloce ed innovativa. Talvolta suono il pianoforte, sporadicamente salgo in mansarda e dipingo. Per imbrattare tele necessitano quiete e tempo. Capite da soli che con due ragazzini per casa può essere problematico.
Quel pomeriggio erano rimasti da Claudio a giocare con i suoi figli.
- Te li porto a casa io subito dopo cena.
Così sono salito di sopra e ho sfogato una parte della mia inquietudine. Al trillo del campanello ho pensato: “chi cazzo sarà questo rompicoglioni?”
Il rompicoglioni era Federica.
- Ciao Samuele, posso entrare?
Aveva i capelli tagliati più corti.
Dimagrita.
Bella come sempre.
La feci entrare.
- Sono andata in via veneto ma non c’era nessuno, ho immaginato foste venuti qui per il fine settimana e così...
- Appena possiamo veniamo in campagna, sai, per via della tizia di sopra, certe cose non sono cambiate…
- Già…
Le chiesi a cosa dovevo tanto onore.
Lo feci con tono sarcastico, non studiato.
Tre anni prima mi ero preparato frasi sferzanti da usare per l’occasione, ma in quel momento non mi vennero in mente.
- Vorrei tornare…
Tornare? Da chi? E perché? E poi, da dove? Si mise a piangere. Disperatamente. Mi parve di scorgerne la sincerità.
- Puoi andare in via veneto. Domani ti porto i bambini, poi si vedrà.
Cosa volete che ci fosse da vedere. Dopo neanche due mesi abbiamo fatto l’amore. Forse no, solo sesso. Diciamo che si è copulato, via!
Per tre anni non me l’ero toccato se non per espletare i bisogni fisiologici. Non ero nemmeno sicuro di essere in grado.
Io no, ma lui si. Come lui chi? Lui, il coso, l’aggeggio atto alla copula.
Comunque, coso o non coso, mentre riunivamo i nostri corpi dopo tanta astinenza, solo mia, ovviamente, la tizia di sopra ha preso a battere, immagino con una scopa, sul pavimento.
Non riesco a capire se il suo difetto è parziale o completo.
Di certo, il deficit è dimostrabile.
So bene che non ci faccio una gran figura.
Mia madre è incazzata come una iena. Mia sorella, tutte le volte che mi vede, mi bercia contro male parole, non mi chiama neanche più per nome. Quando mi saluta mi apostrofa così:
- Ciao coglione!
Claudio ha trovato una donna che lo scombussola sessualmente e le ha già chiesto di sposarlo. Quest’estate andiamo tutti insieme in vacanza, in Sardegna. Le due donne sono subito divenute buone amiche. Se i precedenti contano, la cosa non mi garba più di tanto.
Io, dell’americano non ho mai chiesto nulla, non lo farò.
Il venerdì sera vado al Gun’s Flower per giocare a biliardo.
Di tanto in tanto faccio l’amore con Federica. Apparentemente con nuovo trasporto da parte di entrambi. Puntualmente, finito l’amplesso, mi interrogo: “avrà provato piacere o ha finto soltanto?”. Il fine settimana lo passiamo in campagna. Durante la settimana, nel periodo scolastico, abitiamo in via veneto.
La tizia di sopra continua a rompere i coglioni.
L’Inter è in testa alla classifica, ma non mi illudo, mancano ancora quattro giornate alla fine del campionato...

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